Palla al centro – Una festa dello sport e non solo

Il 9 ed il 16 giugno presso l’Associazione Gruppo di Betania Onlus si è svolgerà l’evento QuBì: “Palla al centro – sport e crescita”.
QuBì-La ricetta contro la povertà infantile, è un programma il cui obiettivo è contrastare il fenomeno della povertà infantile promuovendo la collaborazione tra le istituzioni pubbliche e il terzo settore e realizzando interventi mirati a bisogni specifici in 25 quartieri della città di Milano.
L’Associazione Gruppo di Betania è entrata a far parte della Rete QuBì nel 2021 e quest’anno, nell’ambito dei progetti, ha voluto realizzare due giornate di giochi e sport per i giovani con l’obiettivo di aiutarli a riprendere la propria capacità di socializzazione dopo questo lungo periodo di chiusura tramite momenti di festa, di allegria e di attività fisica. Soprattutto in un momento storico in cui sono venuti meno diritti fondamentali come scuola, possibilità di aggregazione e sport, è importante ripartire dal diritto di provare la gioia di giocare, di allenare il corpo e di sperimentare nuove attività ludico-culturali. Questi sono tutti elementi fondamentali per lo sviluppo sano degli adolescenti.
Agb Onlus ha organizzato queste giornate con momenti di condivisione e riflessione, partecipata e sportiva, per migliorare il proprio benessere psico-fisico avvicinandosi alla consapevolezza di sé. Molto importanti i due incontri formativi: “Educazione&Sport” tenuto dal Counsellor Giorgio Ronchi e “Wilding: autodifesa istintiva e psicofisica” tenuto da City Angels.

BUONA ESTATE!

L’estate per le ragazze accolte nelle nostre Comunità educative non è solo divertimento, ma è molto di più!
È CRESCITA, SCOPERTA, SOCIALIZZAZIONE, APPRENDIMENTO.
È una preziosa occasione per preparare il proprio BAGAGLIO PERSONALE,
che ha per fine la promozione dell’autonomia di ogni ragazza
all’interno della vita sociale e interpersonale. Gite culturali, corsi
sportivi, apprendimento di una lingua straniera, tirocini, vacanze di gruppo, percorsi formativi e tante altre esperienze nuove e stimolanti.
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Causale: attività estive

Allenate per sorridere con gli occhi

Un modo nuovo di vedere il mondo

“Recentemente leggevo che questo 2020 ci ha messo un po’ alle porte, nel senso economico del termine, eppure più che alla porta forse siamo stati messi alle finestre. Diciamo, anche, che abbiamo imparato a starci in un modo tutto nuovo che nessuno si aspettava.
Sembriamo forse gli stessi di prima eppure dentro di noi qualcosa è inevitabilmente cambiato. Abbiamo visto il nostro paese spegnersi mano a mano, ci siamo sentiti chiamati in causa. Come per gli eroi non siamo riusciti a sottrarci e abbiamo dovuto scegliere di rinunciare: agli affetti, alle abitudini, ai vizi, alla libertà.
Costrette a stare nelle nostre case, noi che non ci siamo neanche scelte. Appoggiate ai davanzali e con il naso incollato al vetro guardavamo i parchi vuoti con la rabbia di chi non vuol sentire, capire. Ci siamo dovute fermare, come una battuta d’arresto in un tempo sospeso che non ci sapeva di niente e che ci ha costrette a concentrarci su di noi, ad ascoltarci e a ripensarci. Un’operazione che alle volte ci ha fatto anche più spavento di questo virus. Eppure, più che a smettere di avere paura abbiamo voluto imparare a tremare. Ed è allora che lentamente abbiamo spostato lo sguardo da tutte quelle abitudini che ci tranquillizzavano, soprassedendo al rancore e riscoprendo ciò che abbiamo spesso trascurato, lasciandoci alle spalle le finestre e le persiane, portandoci all’interno. Come i bambini quando osservano il mondo per la prima volta, con la stessa sana curiosità, abbiamo imparato a guardare quello che da sempre avevamo di fronte. L’appartamento a volte ci è sembrato stretto e allora noi abbiamo imparato a prestare il nostro sguardo a chi con urgenza cercava una tana. Con un po’ di allenamento i nostri sorrisi sono diventati sempre più grandi, abitabili e forse adesso ci viene più difficile porgere la mano ma, nonostante questa mascherina che ci taglia il fiato, ci siamo allenate per sorridere con gli occhi. Tra compagne ci siamo interrogate e, alle volte, stropicciate un po’ la faccia, riscoprendone una nuova, curiosando oltre i nomi consumati con cui amiamo parlare di noi, degli altri, delle cose. Bizzarro come può diventare oro tutto questo tempo altro, diverso, strano…”

L’antidoto per il COVID…. e non solo

 

La vicenda del Covid, oggi tutt’altro che conclusa, ha influenzato tutti e, purtroppo, continuerà a farlo ancora a lungo.

Ma passando oltre a tale ovvietà, all’interno della Comunità NPIA di Omada ha anche permesso di attivare energie e soluzioni nuove al fine di fare fronte ai cambiamenti imposti dalla Pandemia. L’effetto principale ha riguardato la possibilità di utilizzare il “gruppo” di lavoro come strumento e risorsa straordinaria per poter “vedere oltre all’ostacolo”. Nella scorsa primavera abbiamo affrontato mesi faticosi, uno stravolgimento per tutti, turni di lavoro rivoluzionati, riorganizzazione generale della comunità, nuove regole, procedure, nel tentativo di garantire al massimo la sicurezza delle ragazze, di operatori e clinici.
Questo sforzo comune e collettivo ha permesso un salto di integrazione che era ancora necessario dover fare nella nostra giovane esperienza, mettendo in connessione, ancora più stretta, tutti i professionisti presenti.
Si sono cercati nuovi strumenti di lavoro (riunioni da remoto, tra noi e/o con servizi esterni…), si è riorganizzato il “tempo” in CT con le pazienti, tutte presenti vista la chiusura prolungata delle scuole, attivate le video-lezioni per tutte, ecc.
Il lockdown primaverile ha comportato che gli operatori non avessero spazi “altri” oltre al lavoro, si è offerto a tutti la possibilità strutturata di un confronto con un consulente esterno, come modalità per poter gestire lo stress derivante dalla situazione che si era creata.
Quelle settimane sono trascorse per tutti, ragazze comprese, vivendo le giornate attraverso una differente gestione del “tempo”. Un tempo più lento, più dilatato, più condiviso. Momenti, come il pranzo o la cena, precedentemente vissuti con maggior frenesia e frammentazione a causa di impegni e orari differenti, sono diventati reali momenti di condivisione.
E’ questo solo un esempio, ma serve per comprendere quale sia l’aspetto che avevo intenzione di sottolineare maggiormente. Le giovani hanno potuto condividere con gli operatori, e con i familiari che incontravano attraverso

i dispositivi tecnologici, la medesima “attesa” di sviluppi desiderati: la pandemia ci ha posti tutti sullo stesso piano. Tale situazione di condivisione ha aiutato le stesse a reggere la fatica nel trascorrere delle settimane. Hanno compreso che, a differenza di altri loro coetanei isolati nei propri appartamenti cittadini, loro avevano un gruppo a disposizione, degli spazi propri e comuni, anche all’aperto. Avevano pertanto a disposizione delle risorse non scontate.
Oggi, a mesi di distanza, prosegue questo tempo anomalo che incide quotidianamente sul nostro lavoro, perché comporta la necessità di fare sintesi tra il mandato istituzionale che abbiamo in quanto struttura sanitaria, ovvero la ricerca di un benessere psicofisico delle ragazze attraverso azioni mirate cliniche ed educative, e l’esigenza di preservare le stesse e l’intera organizzazione dai rischi di una eventuale diffusione del contagio. Tutto ciò può apparire evidente e scontato, ma implica una dialettica interna costante al fine di individuare un punto di equilibrio tra queste differenti istanze, nel rispetto delle normative generali e specifiche emanate ad hoc dalle differenti istituzioni. Se la risposta alla nostra naturale paura, smarrimento e irritazione di fronte alla Pandemia è che “siamo qui per le ragazze”, si ritorna a vedere il motivo per cui ci siamo impegnati in questo lavoro e a riprendere un processo di crescita; in caso contrario ci si potrebbe paralizzare. Rimane, di fatto, che l’antidoto alla paralisi causata dalla paura o dalla rabbia – e non solo per il Covid – resta sempre la dialettica appena citata.
L’auspicio è che, in fondo, oltre alla fatica che ancora sperimentiamo, questo lungo periodo di crisi sia un’occasione importante di crescita collettiva per l’equipe di Omada e di significativo consolidamento condiviso della nostra identità. Tale processo implica un’autoattribuzione di appartenenza sempre più diffusa e riconosciuta dal gruppo di lavoro, nella diversità di professioni e di sensibilità personali.

Paolo Cereda – Coordinatore “Omada”

Villaluce: 40 anni… E NON SENTIRLI!

 

 

40 anni di storia e alla base una intuizione su cui l’intera istituzione si è modellata: le ragazze che Villaluce accoglie hanno sulle loro giovani spalle e sui cuori grandi sofferenze che hanno causato pesanti traumi… ma sono anzitutto adolescenti. Pertanto tutta l’istituzione – struttura, organizzazione, servizio psicopedagogico, formazione – si è forgiata a partire dal sistema evolutivo dell’età adolescenziale che attraversa varie fasi fino a transitare nell’età adulta abbandonando le pretese e le onnipotenze infantili, insieme al grande significato che per un adolescente ha l’esperienza di appartenere ad un gruppo. E lo ha fatto facendo del confronto intra ed extraistituzionale, ragazze comprese, un cantiere sempre aperto che la Formazione permanente ha costantemente alimentato.

Una visione che, soprattutto negli anni 80 e 90, ha fatto cultura nell’ambito sociale milanese e che, inoltre, in modo pionieristico, ha iniziato a far parlare di intervento pedagogico PERSONALIZZATO e strutturato in forma PROGETTUALE, quale unico modo per valorizzare la persona, riconoscerle la propria unicità e potenzialità, ingaggiarla in una spirale di crescita e di speranza verso il futuro.

Ciò, evidentemente, non ci ha reso immuni da disfunzioni, slogan, autoreferenzialità, errori: siamo professionisti vivi e, dunque, umani!

Non possiamo neppure nascondere dietro un dito un’altra faccia della medaglia non propriamente brillante: ci stiamo destreggiando soprattutto oggi, tra le costanti e continue contrazione delle risorse (economiche e umane) e la moltiplicazione delle esigenze da parte dei Servizi invianti e degli Enti deputati al controllo. Siamo infatti sollecitati da mille fonti, soprattutto sul piano burocratico e amministrativo (procedure, sistemi sofisticati di raccolta dati) ma francamente poco sul piano dell’obbiettivo, della qualità, della progettualità responsabile verso il nostro futuro rappresentato, oggi, dai giovani. Speriamo di uscire presto da questo tunnel per programmare con senso e “costruire” il futuro dei nostri ragazzi ritrovando uno sguardo lungimirante e fiducioso!

 

Ecco, dunque, la storia di Villaluce intrecciarsi con migliaia di storie di ragazze, le principali protagoniste, di educatori, assistenti sociali, magistrati, genitori, psicologi, insegnanti, medici, imprenditori, economisti, burocrati…, valorizzando le appartenenze di ciascuno: religiose, laici, uomini e donne, giovani e anziani… Un concerto di relazioni non sempre ordinato e perfetto. Proprio questo ha fatto la differenza: comprendere che la vera ricchezza consiste nell’amore e nella passione che ciascuno di noi ha donato a Villaluce, generando reciprocità e vicinanza!

 

Un comitato, fin dai primi mesi del 2018, è stato incaricato di lavorare al 40esimo di Villaluce individuando celebrazioni ed eventi ad hoc, tra cui un seminario pedagogico. Purtroppo, anche se scontato, la vicenda del Covid non ci ha permesso di realizzare quello che avevamo in mente…

E allora? Allora, per il momento, celebreremo questo traguardo nel silenzio dei nostri cuori e appena sarà possibile festeggeremo insieme. Anche questa è una lezione di vita esemplare che mostra alle nostre adolescenti ma anche a noi (l’educazione non è mai a senso unico!) che il cammino verso l’età adulta è una continua e costante dialettica tra il sogno e la realtà, tra l’ideale e il reale, tra l’impossibile e il possibile; un cammino di trasformazione che prosegue per tutta la vita! Grazie Villaluce!

 

L’importanza del gruppo

Salve a tutti, con questa lettera vogliamo raccontare come abbiamo vissuto la quarantena nella Comunità Educativa Sestante. Viviamo in questa Comunità di Villaluce da circa 4 anni: essendo una realtà diversa e a volte poco considerata, ci tenevamo a far conoscere anche il nostro vissuto.

Come tutti sappiamo, il lockdown è stato un momento difficile e molto strano per tutti. Nonostante i mesi trascorsi completamente lontane dai nostri famigliari e amici siano stati duri, abbiamo scoperto l’importanza del gruppo come supporto e riscoperto la bellezza delle piccole cose.

In questi mesi ci è capitato più volte di vedere quanto il gruppo fosse fondamentale: una delle ragazze, per esempio, ha avuto la sfortuna di avere una polmonite nel bel mezzo dell’epidemia, niente di collegato al virus in circolazione non preoccupatevi! In ogni caso, questa situazione ha fatto emergere il gruppo come fonte primaria di allegria e supporto. La ragazza è stata in isolamento durante la quarantena per evitare ogni contatto e le altre pur di aiutare la compagna facevano cambi di letti, mangiavano tutte in cucina, seppur piccola, e quando passavano dalla sala si fermavano a parlare con lei anche se attraverso la porta – come per dire: “Hey, io ci sono!”. Questo episodio forse è stato il più drastico, ma è per farvi capire come il gruppo, anche nelle situazioni più fastidiose e difficili, sia sempre stato capace di aiutare e supportare. Ad un certo punto della quarantena, però, stava diventando tutto troppo pesante: per esempio, stare sempre insieme alle stesse persone, seguire le video lezioni oppure il fatto di fare la psicoterapia in casa. Per quanto grande fosse la casa, infatti, non c’era abbastanza intimità per parlare liberamente delle nostre questioni private, anche se confrontandoci tra di noi abbiamo cercato di rispettare il più possibile ognuna gli spazi delle altre. Oltre alle cose difficili, abbiamo potuto scoprire tante parti di noi stesse, delle compagne e educatrici.

Crediamo che questa quarantena sia servita molto a farci riflettere e farci prendere una pausa dalla frenesia di Milano. Anche se a volte è stato davvero faticoso, abbiamo avuto il modo di fermarci e guardarci dentro e attorno. Prima di questa esperienza, avevamo smesso di credere nel gruppo e all’inizio della quarantena ci siamo un po’ isolate senza condividere le nostre fatiche. Portarsi tutti i pesi da soli però è difficile in qualsiasi caso e, proprio quando pensavamo che i rapporti fossero superficiali, le ragazze e le educatrici ci hanno dimostrato il contrario: dalla compagna che ti porta il caffè quando studi troppo, a quella che ti parla quando non riesci a dormire o quella che apposta ti stuzzica per farti un po’ ridere. Le educatrici hanno cercato di comprendere le nostre fatiche e parlarci anche una ad una e questo ha aiutato molto nel rapporto individuale con loro. Ci siamo aiutate, venute incontro e un po’ “modificate” a vicenda e la cosa più bella è che non l’abbiamo nemmeno fatto apposta: nella nostra spontaneità di fare dei piccoli gesti, ci siamo aiutate in grande.

Sicuramente sarà un anno che non dimenticheremo: se pensiamo alla quarantena ci vengono in mente le sere a ballare tra di noi, quelle a parlare di cose serie e non, i 2 compleanni festeggiati qui in casa, le risate, gli abbracci, i pianti.
Ci porteremo dentro tutto perché, per quanto faticosa, questa quarantena ci ha regalato e insegnato molto: siamo più consapevoli, sentiamo maggiormente l’affetto delle nostre compagne ed educatrici, viviamo la vita fuori diversamente e, tornando a casa, sappiamo che qualsiasi cosa possa succedere fuori, a Casa andrà tutto bene.

Un saluto dalle ragazze della Comunità Educativa Sestante.

In tempo di pandemia, parole straordinarie

Sul sagrato di una Piazza San Pietro completamente vuota, Papa Francesco è solo, all’imbrunire, sotto la fitta pioggia di una città colpita. Un’immagine mai vista prima. È il 27 marzo e l’Italia sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua Storia, sicuramente il più drammatico dalla seconda Guerra Mondiale: proprio qui ed ora il Papa, vicario di Cristo e messaggero di Dio, vuole far sentire la sua preghiera per un pianeta alle prese con un nemico invisibile. L’omelia, che si conclude con un atto di affidamento a Maria, ci ha colpito profondamente per il suo significato e per le forti, addolorate, straordinarie parole che Bergoglio ha usato per esprimerlo. Vogliamo ricordarne alcune con voi:

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera.  Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti.

Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme. (…) Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. 
In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. (…)

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

Ce la faremo solo INSIEME!

La situazione che stiamo vivendo ha messo tutta la società civile in grande difficoltà. AGB Onlus non ferma la sua missione, ma si è dovuta ripensare per comprendere come affrontare una emergenza sanitaria che è diventata anche una devastante emergenza sociale!Per lo specifico servizio che offriamo in risposta ad un mandato sociale, umano, spirituale (comunità educative residenziali e neuropsichiatria infantile per adolescenti), l’attività non si può interrompere e continuiamo a portare avanti la nostra opera con ancora più dedizione e impegno di prima.

Per le più di 70 ragazze accolte in AGB – Villaluce, Casa del Sorriso ed Omada – “stare a casa” ha significato stare in Comunità o negli appartamenti sul territorio o negli alloggi verso l’autonomia con un nuovo gruppo di compagne di avventura e l’équipe di educatrici. Continuiamo a cercare di mettere in campo ogni sforzo per far vivere alle ragazze che accogliamo questo tempo sospeso in modo costruttivo, creativo, proficuo.
Non solo, è anche una occasione per affiancarle nel difficile compito di maturare responsabilità civili e sociali che fanno parte del nostro essere cittadine.
E noi, ci siamo chiestii, come viviamo il nostro “frattempo” nell’attesa che un qualche cosa cambi, nell’attesa di vedere uno spiraglio? Viviamo questo “frattempo” nella fede e nella speranza oppure siamo persone smarrite, impaurite, preoccupate, spaventate?
Questo “frattempo”, che speriamo di non dover mai più rivivere, quali scelte dolorose ma essenziali e necessarie ci ha costretto a compiere come comunità religiosa e come comunità educativa?

Come comunità educativa abbiamo scelto che gli operatori laici si spostassero il meno possibile e noi, ragazze e suore rimanessimo ferme nelle nostre Sezioni, chi in Omada, chi in Casa del Sorriso e chi in Villaluce. Tutti insieme, ragazze, operatori e suore, e soprattutto tutti gli educatori che sono le persone maggiormente coinvolte, abbiamo deciso di trasformare la residenzialità che prevede molta socializzazione, in stanzialità; scelta improrogabile sia dal punto di vista pedagogico che strutturale proprio perché dobbiamo “restare a casa”. E qual è la casa delle nostre 70 adolescenti che non hanno altra casa se non le comunità educative o la comunità di neuropsichiatria?
Questa difficile ed onerosa scelta ci ha dato la conferma e la dimostrazione dell’importanza del lavoro di rete che portiamo avanti da anni. Nessuno si è sentito costretto a fare questa scelta ma ognuno di noi l’ha fatta perché spinto da un forte aspetto motivazionale – l’amore verso le ragazze e l’amore per la propria professione e, per chi crede, l’amore per Gesù che in questo momento ci accompagna nella sofferenza. Abbiamo così dovuto predisporre una differente turnazione di tutti gli operatori i quali, a loro volta, hanno dovuto necessariamente “stravolgere” la propria vita privata. Solo qualcuno dei nostri operatori ha lavorato in smart working perché queste sono comunità educative, non uffici… ci sono ragazze, non carte. Così come agli operatori, un grossissimo sacrificio è stato richiesto anche a ciascuna ragazza che si è vista, dalla sera alla mattina – nel senso concreto del termine – obbligata a non poter più fare, come tutti, alcuno spostamento. 
Spazi strutturali e tutti i momenti della vita quotidiana sono stati riprogettati e rimodulati facendo sempre estrema attenzione ai vari decreti. Per le ragazze questo cambiamento ha significato una “sospensione di vita”, ben sapendo quanto siano preziose le ore nel tempo in cui gli adolescenti sono chiamati a crescere preparandosi ad una vita adulta, autonoma, consapevole.

Ogni giorno tutte le équipe educative si sono incontrate per organizzare con le ragazze, sempre uniche protagoniste, la giornata da trascorrere. L’istituzione scolastica, con le sue lezioni, compiti ed interrogazioni le ha tenute molto impegnate e di questo la ringraziamo; non tutte le settanta ragazze però avevano un Pc o uno smartphone a disposizione, ed allora ecco che i cellulari personali, e i cellulari di servizio sono diventati strumenti fondamentali, importantissimi. La presenza delle ragazze nei giardini, più o meno grandi, delle tre Sezioni viene gestita evitando assembramenti e regolamentando gli orari; si inventano gare con giochi da tavolo, gare di cucina, concorsi di fotografia, gare di ballo… L’incontro settimanale in cappella per una preghiera tiene conto anch’esso delle misure di sicurezza così da non privarci di questo spazio di incontro che fa un gran bene al cuore di ciascuna.
Ogni angolo della casa e delle comunità è dotato di igienizzanti, disinfettanti, guanti usa e getta, termometri per misurarsi la temperatura…e cartelli che dicono come bisogna comportarsi e spiegano la continua raccomandazione di lavarsi le mani più volte al giorno… Per fortuna che gli adolescenti amano la vita e queste misure igienico sanitarie vengono da loro vissute come una tutela per la loro salute. D’altra parte è così in tutto il mondo! A tutto il personale delle tre sezioni, AGB ha fornito i presidi di protezione e viene chiesto loro di utilizzarli. Così con la mascherina si è dovuto imparare a gestire la relazione solo con gli occhi; occhi che sono diventati sempre più espressivi perché devono sostituire la gestualità, l’abbraccio e la voce che non è più “quella di prima”, ma è velata anch’essa dalla mascherina e non esprime più, con la stessa tonalità di prima, la fermezza di un rimprovero o la gioia di una conquista. E per tutti, ragazze, operatori laici e religiose, responsabili di Sezione, quanta stanchezza emotiva, ma quanta creatività italiana e quanta certezza che “insieme ce la faremo!”

E ce la faremo anche perché le nostre ragazze sono delle grandi!

Emergenza Sanitaria = Emergenza Sociale

In questo momento così difficile e delicato, AGB Onlus non ferma la sua missione.

Infatti, per lo specifico servizio che offriamo in risposta ad un mandato sociale, umano, spirituale, l’attività non si può interrompere e continuiamo a portare avanti la nostra opera con ancora più dedizione e impegno di prima.
Per le più di 70 ragazze accolte in AGB –  Villaluce, Casa del Sorriso ed Omada –  “stare a casa” significa stare in Comunità o negli appartamenti sul territorio o negli alloggi verso l’autonomia, con un nuovo gruppo di compagne di avventura e l’équipe di educatrici.

La gestione dell’emergenza ci ha costretti a pensare a come sviluppare un sistema di precauzioni, a ripensare all’uso degli spazi, alla gestione del tempo, all’organizzazione delle attività scolastiche ed extra-scolastiche, alle strutturazioni delle équipe educativa, ad un modo diverso di relazionarci “come gruppo” senza dimenticare gli obiettivi dei Progetti personali di ciascuna giovane.
Questo ha comportato spese ingenti per la nostra Associazione, che ha voluto mettere in campo tutte le azioni possibili per tutelare la salute delle ragazze e delle educatrici: dalla dotazione di dispositivi di protezione individuale alla sanificazione degli spazi, dal potenziamento delle reti wi-fi all’acquisto di pc e tablet per permettere alle giovani di continuare a seguire i loro percorsi scolastici.

I costi che stiamo affrontando, sommati alle perdite derivanti dai mancati inserimenti in comunità e dalla diminuzione dei finanziamenti per nuovi progetti, determinano per noi una fase di grande difficoltà economica, da cui non sarà semplice riemergere.
Per continuare a portare avanti il nostro servizio permettendo alle ragazze allontanate dalla famiglia di avere una casa dove stare, abbiamo bisogno anche del tuo aiuto.

AFFRONTIAMO UNITI QUESTA EMERGENZA SOCIALE, PER RICOSTRUIRE INSIEME UN FUTURO DI SPERANZA PER TUTTI E TUTTE.

Anche una piccola donazione è un grande gesto per noi

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Causale: Emergenza Covid-19

Supporta il cambiamento aiutando la comunità e l’ambiente

Gruppo di Betania Onlus è stata scelta tra i beneficiari dell’iniziativa “Dona la tua energia”, il cui obiettivo è accompagnare gli utenti verso la scelta di una fornitura di energia verde ricavata 100% da fonti rinnovabili che consente di rispettare l’ambiente, risparmiare sulle bollette e, allo stesso tempo, sostenere progetti sociali.

Scegli il nostro progetto di supporto allo studio e accompagnamento al lavoro per ragazze (16-21 anni) accolte presso le Comunità Educative dell’Associazione, e accedi così alle opportunità di soluzioni dal grande impatto ambientale e sociale!

 

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