Allenate per sorridere con gli occhi

Un modo nuovo di vedere il mondo

“Recentemente leggevo che questo 2020 ci ha messo un po’ alle porte, nel senso economico del termine, eppure più che alla porta forse siamo stati messi alle finestre. Diciamo, anche, che abbiamo imparato a starci in un modo tutto nuovo che nessuno si aspettava.
Sembriamo forse gli stessi di prima eppure dentro di noi qualcosa è inevitabilmente cambiato. Abbiamo visto il nostro paese spegnersi mano a mano, ci siamo sentiti chiamati in causa. Come per gli eroi non siamo riusciti a sottrarci e abbiamo dovuto scegliere di rinunciare: agli affetti, alle abitudini, ai vizi, alla libertà.
Costrette a stare nelle nostre case, noi che non ci siamo neanche scelte. Appoggiate ai davanzali e con il naso incollato al vetro guardavamo i parchi vuoti con la rabbia di chi non vuol sentire, capire. Ci siamo dovute fermare, come una battuta d’arresto in un tempo sospeso che non ci sapeva di niente e che ci ha costrette a concentrarci su di noi, ad ascoltarci e a ripensarci. Un’operazione che alle volte ci ha fatto anche più spavento di questo virus. Eppure, più che a smettere di avere paura abbiamo voluto imparare a tremare. Ed è allora che lentamente abbiamo spostato lo sguardo da tutte quelle abitudini che ci tranquillizzavano, soprassedendo al rancore e riscoprendo ciò che abbiamo spesso trascurato, lasciandoci alle spalle le finestre e le persiane, portandoci all’interno. Come i bambini quando osservano il mondo per la prima volta, con la stessa sana curiosità, abbiamo imparato a guardare quello che da sempre avevamo di fronte. L’appartamento a volte ci è sembrato stretto e allora noi abbiamo imparato a prestare il nostro sguardo a chi con urgenza cercava una tana. Con un po’ di allenamento i nostri sorrisi sono diventati sempre più grandi, abitabili e forse adesso ci viene più difficile porgere la mano ma, nonostante questa mascherina che ci taglia il fiato, ci siamo allenate per sorridere con gli occhi. Tra compagne ci siamo interrogate e, alle volte, stropicciate un po’ la faccia, riscoprendone una nuova, curiosando oltre i nomi consumati con cui amiamo parlare di noi, degli altri, delle cose. Bizzarro come può diventare oro tutto questo tempo altro, diverso, strano…”

L’antidoto per il COVID…. e non solo

 

La vicenda del Covid, oggi tutt’altro che conclusa, ha influenzato tutti e, purtroppo, continuerà a farlo ancora a lungo.

Ma passando oltre a tale ovvietà, all’interno della Comunità NPIA di Omada ha anche permesso di attivare energie e soluzioni nuove al fine di fare fronte ai cambiamenti imposti dalla Pandemia. L’effetto principale ha riguardato la possibilità di utilizzare il “gruppo” di lavoro come strumento e risorsa straordinaria per poter “vedere oltre all’ostacolo”. Nella scorsa primavera abbiamo affrontato mesi faticosi, uno stravolgimento per tutti, turni di lavoro rivoluzionati, riorganizzazione generale della comunità, nuove regole, procedure, nel tentativo di garantire al massimo la sicurezza delle ragazze, di operatori e clinici.
Questo sforzo comune e collettivo ha permesso un salto di integrazione che era ancora necessario dover fare nella nostra giovane esperienza, mettendo in connessione, ancora più stretta, tutti i professionisti presenti.
Si sono cercati nuovi strumenti di lavoro (riunioni da remoto, tra noi e/o con servizi esterni…), si è riorganizzato il “tempo” in CT con le pazienti, tutte presenti vista la chiusura prolungata delle scuole, attivate le video-lezioni per tutte, ecc.
Il lockdown primaverile ha comportato che gli operatori non avessero spazi “altri” oltre al lavoro, si è offerto a tutti la possibilità strutturata di un confronto con un consulente esterno, come modalità per poter gestire lo stress derivante dalla situazione che si era creata.
Quelle settimane sono trascorse per tutti, ragazze comprese, vivendo le giornate attraverso una differente gestione del “tempo”. Un tempo più lento, più dilatato, più condiviso. Momenti, come il pranzo o la cena, precedentemente vissuti con maggior frenesia e frammentazione a causa di impegni e orari differenti, sono diventati reali momenti di condivisione.
E’ questo solo un esempio, ma serve per comprendere quale sia l’aspetto che avevo intenzione di sottolineare maggiormente. Le giovani hanno potuto condividere con gli operatori, e con i familiari che incontravano attraverso

i dispositivi tecnologici, la medesima “attesa” di sviluppi desiderati: la pandemia ci ha posti tutti sullo stesso piano. Tale situazione di condivisione ha aiutato le stesse a reggere la fatica nel trascorrere delle settimane. Hanno compreso che, a differenza di altri loro coetanei isolati nei propri appartamenti cittadini, loro avevano un gruppo a disposizione, degli spazi propri e comuni, anche all’aperto. Avevano pertanto a disposizione delle risorse non scontate.
Oggi, a mesi di distanza, prosegue questo tempo anomalo che incide quotidianamente sul nostro lavoro, perché comporta la necessità di fare sintesi tra il mandato istituzionale che abbiamo in quanto struttura sanitaria, ovvero la ricerca di un benessere psicofisico delle ragazze attraverso azioni mirate cliniche ed educative, e l’esigenza di preservare le stesse e l’intera organizzazione dai rischi di una eventuale diffusione del contagio. Tutto ciò può apparire evidente e scontato, ma implica una dialettica interna costante al fine di individuare un punto di equilibrio tra queste differenti istanze, nel rispetto delle normative generali e specifiche emanate ad hoc dalle differenti istituzioni. Se la risposta alla nostra naturale paura, smarrimento e irritazione di fronte alla Pandemia è che “siamo qui per le ragazze”, si ritorna a vedere il motivo per cui ci siamo impegnati in questo lavoro e a riprendere un processo di crescita; in caso contrario ci si potrebbe paralizzare. Rimane, di fatto, che l’antidoto alla paralisi causata dalla paura o dalla rabbia – e non solo per il Covid – resta sempre la dialettica appena citata.
L’auspicio è che, in fondo, oltre alla fatica che ancora sperimentiamo, questo lungo periodo di crisi sia un’occasione importante di crescita collettiva per l’equipe di Omada e di significativo consolidamento condiviso della nostra identità. Tale processo implica un’autoattribuzione di appartenenza sempre più diffusa e riconosciuta dal gruppo di lavoro, nella diversità di professioni e di sensibilità personali.

Paolo Cereda – Coordinatore “Omada”

comunità omada - bilancio

Omada, l’importanza del supporto in rete

Un aggiornamento che ci riempie di soddisfazione!

La Struttura residenziale di Neuropsichiatria Infantile Omada, nata alla fine del 2016, è cresciuta consolidando il suo metodo e l’organico. Ad oggi la Comunità ospita 9 adolescenti portatrici di una storia di intensa sofferenza.

Di seguito un pensiero raccolto dalla viva voce degli operatori.
“Noi siamo una comunità terapeutica RESIDENZIALE e stiamo lavorando sia sul versante della salute mentale sia sul versante pedagogico, per evitare il rischio di trasformare la comunità in clinica. Sostenuti dalla formazione psicopedagogica e clinica, che abbiamo voluto distinte, stiamo sperimentando l’importanza di far dialogare i differenti codici e linguaggi: quello clinico e quello pedagogico. Siamo agli inizi, perché abbiamo solo un anno e mezzo di vita, ma dalla risposta delle nostre ragazze ci sembra di essere sulla strada giusta. Inoltre questo è il mandato che è stato dato dall’Associazione Gruppo di Betania onlus ad Omada fin dagli esordi”.

Ecco la voce di una ragazza:
“ Mi ricordo il primo giorno in cui ho messo piede in comunità. Mi ricordo il cartello bianco e azzurro: “Omada, dal greco insieme”. E quante volte in otto mesi mi sono sentita ripetere “Omada vuol dire insieme”; e quante volte l’ho letto nelle azioni di tutti i giorni tra ragazze e operatori. Convivere con persone che stanno male come me non è facile ma alla fine il gruppo si crea e nasce anche una certa fiducia e complicità. Omada per me significa affetto, esserci sempre nel momento del bisogno, essere uniti. Per quante volte faccia fatica a stare in gruppo, tuttavia riconosco l’utilità: mi ha aiutata a combattere la depressione e mi ha insegnato a vivere con piacere in mezzo agli altri”.

Operare in modo incisivo, infatti, significa lavorare in rete con la ragazza, affinché possa assumere un certo grado di consapevolezza della sua patologia al fine di costruire un’alleanza terapeutica; allo stesso tempo è necessario cooperare con i Servizi invianti e coinvolgere e supportare la famiglia.

inaugurazione omada

Vi presentiamo Omada!

L’8 settembre scorso l’Associazione Gruppo di Betania Onlus ha inaugurato una nuova sezione: Omada, Struttura Residenziale di Neuropsichiatria Infantile per Adolescenti. Omada nasce per rispondere al bisogno evidenziato da Regione Lombardia e ATS Città Metropolitana di dotare la città di Milano di strutture residenziali di NPIA. Omada accoglierà adolescenti di età compresa tra 12-17 anni che vivono problematiche psicopatologiche, con particolare attenzione per i disturbi di personalità, inviate da UONPIA e dai Servizi Sociali.

Per la nostra associazione l’apertura di Omada rappresenta certamente una sfida importante, ma anche la possibilità concreta di rispondere ai bisogni delle ragazze che accogliamo e che sempre più spesso manifestano problematiche complesse, poco codificabili, segno di un disagio sommerso con forme anche gravi di disturbo mentale.

inaugurazione omada Guzzettiinaugurazione omada operatori

inaugurazione omada uditorio presentazione

 

 

L’inaugurazione è stata anche un’importante occasione di confronto con persone e enti che da anni ci sono amici e ci accompagnano e sostengono nel nostro lavoro. Abbiamo infatti deciso di partire per questo nuovo percorso con una Tavola Rotonda sul tema “Perché la comunità terapeutica? Le ragioni del cuore e della mente”. Hanno partecipato alla riflessione l’Assessore al Welfare di Regione Lombardia avv. Giulio Gallera , l’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano dott. Pierfrancesco Majorino, il Presidente Fondazione Cariplo avv. Giuseppe Guzzetti, il Direttore Caritas Ambrosiana dott. Luciano Gualzetti, il Presidente Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile dott.ssa Antonella Costantino, il Direttore Neuropsichiatria Infantile di ASST Sacco Fatebenefratelli dott. Alberto Ottolini, il Presidente Fondazione Casa della Carità don Virginio Colmegna.

Ringraziamo di cuore tutti coloro che ci hanno sostenuto e aiutato nella difficile fase di apertura della nuova struttura.

Guarda il video dell’inaugurazione